Sono abituata alla solitudine, a non vedere la mia famiglia, a godere delle piccole cose della giornata nei miei spazi. Amo la casa che abbiamo, in cui a piccoli passi abbiamo messo parti di noi. Ce la siamo sempre goduta, con un’illustrazione che abbiamo fatto realizzare e abbiamo appeso dopo anni e pareti vuote, con quadri che mi ricordano i nostri viaggi.
Abbiamo una casa semplice ma arredata con il nostro gusto e in questo nostro mondo abbiamo realizzato uno studio per il mio lavoro, una cameretta per far giocare i bambini e inserire tutte le macchine di Francesco. Ogni oggetto della nostra casa è vissuto e amato ed è anche per questo che qui, chiusa per obbligo, non sto male. Penso a tutte quelle famiglie che hanno arredato solo per sfarzo o per avere la casa perfetta ma magari stanno fuori tutto il giorno, escono a passeggiare, vivono un quotidiano poco sentito. Non godono delle piccole cose, non si aggrappano con amore a ogni oggetto che fa parte della loro vita, per abitudine, cultura, modo di vivere o per qualsiasi altra ragione che io non posso conoscere.
famiglia nel cuore
Mamma, mamma, guarda, c’è una nuvola grigia: è il coronavirus!
Francesco parla del coronavirus senza sapere bene di che cosa si tratti. Estrapola pensieri, voci ed emozioni che sente al TG o dai nostri discorsi ed è anche per questo che dopo lo shock iniziale, da qualche giorno abbiamo iniziato a parlarne meno.Si è ritrovato da un momento all’altro chiuso in casa, in un 5 marzo che forse ha già dimenticato ma che io sento dentro nel cuore.
Che cosa è successo? Mercoledì è andato a scuola come un qualsiasi giorno della settimana. Ha colorato il disegno per la festa del papà, ha recitato una poesia da imparare sempre meglio, ha giocato con i suoi compagni di classe e poi si è preparato per andare alla lezione di danza.
Non potevo dirgli che immaginavo fosse l’ultima lezione ma in verità avevo capito che avrebbero chiuso le scuole di tutta Italia. Lo dicevano da giorni le fonti non ufficiali, c’era nell’aria qualcosa di strano. Hanno sospeso lo spettacolo teatrale a scuola e le notizie in TV erano sempre più spaventose.
Perché educare i bambini al dialogo aiuta a costruire le basi di un rapporto di fiducia
Da piccola i miei genitori mi hanno abituata al dialogo in casa. È stato un passaggio graduale che mi ha permesso, una volta diventata grande, di raccontare, sfogarmi, parlare e vedere la famiglia come il punto di riferimento della mia vita, la spalla su cui ridere e piangere.
Di ritorno da scuola, fin dalle elementari, mi veniva sempre chiesto com’era andata la mattinata in classe, se c’erano stati dei conflitti, quali compiti dovevo fare per il giorno dopo. Non è mai stato un interrogatorio ma pranzo e cena erano destinati al dialogo. Era l’unico momento in cui potevamo esserci tutti e a tavola ma anche dopo pranzo si trascorreva molto tempo a raccontare gli episodi della giornata.
Questo approccio è andato avanti anche nell’adolescenza ed è capitato spesso di vedere mio padre e mia madre come due confidenti a cui raccontare un conflitto con un’amica o problemi a scuola che al solo pensiero, ancora oggi mi creano disagio.
Di nonna bisaia ho un bellissimo ricordo. Abitavamo sopra la sua casa e con mio fratello passavamo ogni giorno a salutarla. Era una bisnonna buona nonna Maria, con quel suo sorriso senza denti che parlava senza dire e una faccia tonda pronta a guardarti nell’anima.
Era la nonna di mio padre ma per noi bambini era nonna bisaia, come si dice in Gallura. Credeva che fossimo maleducati perché cantavamo “Cacao meravigliao” e ci sgridava pensando che dicessimo le parole brutte.
Noi ridevamo e anche se glielo dicevamo più volte che era una canzone, lei non capiva e si arrabbiava ancora. Il nostro divertimento era girarle attorno, cantare e zampettare una canzone allegra che per lei era un’oscenità.
Quest’estate dovevamo fare un nuovo viaggio. Non avevamo prenotato (per fortuna!) ma avevo scelto la meta e pensato al periodo più adatto per la nostra mini vacanza.
Tornando spesso in Sardegna dalla nostra seconda famiglia, il primo pensiero per i viaggi è sempre la mia isola ma dopo tre giorni a Firenze, l’anno scorso quando Francesco aveva due anni, ci siamo promessi una gita annuale tutta per noi. Perché viaggiare ci piace da matti, perché fa crescere Francesco e la nostra famiglia. Perché viaggiare educa e porta un benessere a tutti e tre.
Della Sardegna e dei giorni al mare in gravidanza all’8 mese ricorderò la frase rito di Francesco:
Ehi, bambino, giochiamo insieme?
La sua voglia di stare negli ombrelloni degli altri a condividere giochi e divertimenti. Il suo desiderio matto di fare ogni giorno qualcosa di diverso, di non annoiarsi mai. In quei giorni al mare, io col pancione seduta a osservarlo, Francesco è cresciuto molto ed è anche per questo che mi piace fargli fare cose diverse, portarlo con noi in ogni luogo in cui andiamo.