Da piccola i miei genitori mi hanno abituata al dialogo in casa. È stato un passaggio graduale che mi ha permesso, una volta diventata grande, di raccontare, sfogarmi, parlare e vedere la famiglia come il punto di riferimento della mia vita, la spalla su cui ridere e piangere.
Di ritorno da scuola, fin dalle elementari, mi veniva sempre chiesto com’era andata la mattinata in classe, se c’erano stati dei conflitti, quali compiti dovevo fare per il giorno dopo. Non è mai stato un interrogatorio ma pranzo e cena erano destinati al dialogo. Era l’unico momento in cui potevamo esserci tutti e a tavola ma anche dopo pranzo si trascorreva molto tempo a raccontare gli episodi della giornata.
Questo approccio è andato avanti anche nell’adolescenza ed è capitato spesso di vedere mio padre e mia madre come due confidenti a cui raccontare un conflitto con un’amica o problemi a scuola che al solo pensiero, ancora oggi mi creano disagio.