Ho lavorato fino al 14 agosto, poi mi sono fermata per 6 giorni. Non so ancora come sono riuscita a farlo, ma dovevo. Dovevo per il mio fisico stanco e dovevo per Francesco. Fermarmi e andare in vacanza era necessario anche per cancellare quel senso di colpa che mi stava pesando troppo, un sentimento che prova ogni copywriter freelance che è anche mamma, moglie casalinga.
Perché il lavoro ti rapisce nella tua stanza ufficio e non importa se senti tuo figlio che vorrebbe giocare o fare altro, non importa se uscire a fare una passeggiata al parco o trascorrere un po’ di tempo insieme sarebbe la scelta più normale per renderlo felice.
Amo troppo il mio lavoro e voglio vivere “anche” di questo
In quel momento c’è un testo da scrivere, un cliente da coccolare, un lavoro da portare avanti.
E io, non l’ho mai nascosto, amo troppo il mio lavoro per lasciarlo andare.
Ho faticato tanto per arrivare dove sono ora; non ho avuto contatti amici con cui partire, amicizie che contano o strade preferenziali. Ho avuto davanti a me una strada buia, con salite, ponti, percorsi sterrati. Ho studiato con tanti motivi che mi avrebbero anche potuto far mollare, proseguito come un treno senza freni. Non ho mai agito di impulso, ho sempre fatto parlare il cuore.
E lui, questo cuore un po’ strano, delle volte troppo assennato, mi ha aiutato a trovare la mia strada.
Potevo mollare tante volte, ma non l’ho fatto.
Potevo pensare che non ce l’avrei fatta.
Credere che vanno avanti solo i raccomandati.
Pensare che Scienze della comunicazione è una laurea di serie B che ti lascia a spasso.
Non l’ho mai fatto.
Non l’ho fatto nemmeno quando ho trascorso 9 mesi di gravidanza lontana da casa, senza mamma e famiglia che potevano starmi vicino fisicamente e psicologicamente; non l’ho fatto quando arrivavano le contrazioni e in ospedale mi avevano detto che potevo partorire da un momento all’altro. Sono tornata a casa, ho acceso il pc. Ho scritto con lentezza, riletto, scritto ancora e spento tutto. Ho ripreso in mano dopo un’ora, letto un’ultima volta il lavoro e consegnato al cliente che mi aveva pagato in anticipo.
In quel momento volevo godermi il divano e mia madre, che è entrata nell’ufficio per dirmi che ero pazza e dovevo riposare. Il bello è che volevo anche lavorare, ero felice così.
Dopo poco, le contrazioni sono aumentate e il giorno dopo ho partorito, ma in quel letto di ospedale, con in braccio un Francesco mite come non è più stato dopo quei primi giorni, ero serena, serena di aver consegnato il lavoro richiesto.
Mamma che lavora da casa: chi l’ha detto che è semplice?
Scrivo queste cose perché essere una copywriter freelance e mamma allo stesso tempo non è per niente facile. So che ci sono lavori che ti costringono a stare tutto il giorno fuori casa, che ti fanno odiare quello che fai solo perché non puoi goderti famiglia e figlio tra le quattro mura. So anche che ci sono tante persone che mi invidiano perché vivo Francesco a 360°. Tanti penseranno che vivo di agi e fortune, che in questo modo di lavorare così, con un pc acceso e un bimbo sempre appiccicato sia davvero strano.
Importa poco. Io so che essere mamma e lavoratrice freelance comporta tanti sacrifici, è bello e brutto insieme.
Il buono e il cattivo tempo del mio lavoro
Qualche esempio? Per me equivale a non staccare mai la spina, a trovarmi a scrivere in bagno perché è l’unico punto in cui sento meno la voce di Francesco. Ma non è solo questo.
Essere una mamma che lavora da casa è:
- non avere mai tempo per te stessa
- non distinguere più vita professionale da vita sociale
- non vivere un weekend senza lavoro
È tutto un non, non, non.
È avere difficoltà a gestire gli orari, riconoscere che lo stress sta salendo alle stelle e impazzire perché capire come gestirlo diventa un nuovo impegno.
Ricevere le chiamate dei clienti mentre hai in braccio tuo figlio di pochi mesi, rinunciare al tempo libero, vivere la tua vita in una flessibilità estrema che fa paura anche a te stessa.
Tutto qui? No, lavorare da casa ha tanti aspetti negativi (mica sono solo questi qui sopra, eh?) ma ne ha anche mille e più positivi.
Vivere tutte le tue tappe di tuo figlio è solo uno dei tanti. Godere delle sue vittorie, delle cadute, delle riprese, dei suoi respiri con te. Creare con lui un legame speciale, non solo perché nasce da un essere mamma e figlio, ma anche perché il lavoro ti permette di allontanarti cinque minuti dal pc se lui cade, piange, ha bisogno di un abbraccio.
E allora la partita iva, le chiamate e i preventivi, le tasse da pagare e il nuovo contenuto da scrivere diventano piccoli piccoli, sfumano insieme alle lacrime che scendono dal tuo viso. Sono tutte lacrime diverse. Un giorno perché ti senti impotente e inadeguata come madre; un altro perché togliere il pannolino durante le tue uniche ferie dell’anno è stato così difficile che ti senti un’altra donna. Un altro ancora perché a tutti i pensieri che porta il lavoro penserai stanotte, quando sarai sola con i tuoi incubi.
Ora non c’è più tempo per scrivere. Ora lui ha bisogno di me, ora vuole la sua mamma per giocare insieme e io potrò esserci grazie anche al mio lavoro.
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