Non voglio essere una mamma apprensiva, di quelle che trasmette le sue paure ai figli. Preferisco combattere con i miei mostri e se ho paura del vuoto – sì, soffro di vertigini – stendere i panni al terzo piano con gli occhi socchiusi ed evitare di farlo capire a Francesco.
Per questo, con tanto sacrificio, ho imparato a lasciarlo in terrazzo senza stargli appiccicata. Ora lo guardo da dentro, con un occhio vigile da spia professionale e dopo mesi di impegno, non vivo più questo momento con il patema d’animo.
Non voglio essere una mamma che urla, di quelle schizzate che per farsi ascoltare dai loro figli sono costrette a sbraitare. Voglio che Francesco capisca nel tempo e in base alla sua età quando sta per superare il limite. Sollevo la voce anche io, soprattutto quando siamo io e lui per 24 ore, ma cerco di lavorare sul linguaggio non verbale, a fargli capire che uno sguardo pesante parla più di una voce accesa. Tante volte ottengo risultati, delle altre parlo al vento e ricevo solo sfide e capricci. Francesco è ancora troppo piccolo per capirmi come vorrei, ma so che con le parole non urlate prima o poi riceverò soddisfazione.
Non voglio essere una mamma troppo permissiva, di quelle che cedono se il figlio si butta a terra perché vuole un gioco a due zeri. Voglio che Francesco impari a giocare con tutto, che stimoli la fantasia e si senta libero di immaginare e divertirsi con ogni piccolo oggetto, anche vecchio e usato. Ciò che vuole se lo deve conquistare con sacrificio, imparare a meritarsi anche la conquista più semplice.
Voglio che non viva questa società consumistica come il sale della vita, che prenda del materialismo la bellezza di custodire un libro che è anche un ricordo, di avere un cd o un gioco che rappresenta anche scoperta.
Voglio essere equilibrata, certe volte triste e stanca per il troppo da fare, mai rassegnata al mio ruolo di madre.
E no, non voglio essere di una quelle mamme superbe, che pensano ai loro figli come dei geni superiori agli amichetti. Di quelle che raccontano ad alta voce che il loro figlio sa scrivere da solo e non gliel’ha insegnato nessuno – e poi scoprire che il bambino ha 5 anni e mezzo – o che un pallone da tirare con i piedi gli farà fare carriera.
Voglio che Francesco e i prossimi bambini che avrò – spero – crescano senza convinzioni leggere, che imparino il concetto di umiltà, un concetto troppo bistrattato, molto confuso o utilizzato in modo improprio.
Voglio essere una madre che conquista a piccoli passi il suo mondo, senza ruoli confezionati, pregiudizi o lamenti sterili. Sentirmi libera di piangere se sono stanca senza per questo sentirmi fragile, coccolare mio figlio per ore senza pensare di crescerlo viziato o mammone; comprargli un gioco nuovo educandolo all’importanza del gesto e non all’oggetto ricevuto.
E poi non voglio essere una mamma senza pazienza. Perché anche se spesso la si perde o si sente di averne meno, è proprio la pazienza che aiuta a superare ogni difficoltà in famiglia, anche quella all’apparenza più difficile.
Scrivo senza usare il condizionale perché sperimento questa filosofia educativa da quando è nato Francesco e oggi sento che sono nella strada giusta. Ho ancora tanto da imparare, da costruire, ma equilibrio e consapevolezze mi aiuteranno a seguire questo cammino con serenità.
2 Comments
E’ la stessa strategia educativa mia…ammetto che ogni tanto “mi perdo” soprattutto adesso con il secondo bimbo che non mi fa dormire ma ce la posso fare!
Ci credo che non sia semplice ma in due anni e mezzo di maternità ho capito che di semplice con un bambino non c’è praticamente niente (nemmeno la merenda, per dire!). La cosa importante, secondo me, è avere le idee chiare e non mollare. 🙂